I posti letto negli ospedali erano insufficienti e convertimmo anche le sale operatorie in terapie intensive.
Invece di spendere inutilmente milioni di euro in strutture provvisorie, pensammo a nuove strutture ospedaliere che sarebbero servite in maniera stabile anche in futuro.
Da qui la realizzazione del Covid Intensive Care, 134 posti letto di terapia intensiva negli ospedali delle principali città, di cui 14 al Sant’Orsola e 36 al Maggiore di Bologna.
La svolta fu affrontare il virus sul territorio. Le Usca assicurarono oltre 600mila prestazioni, tra cui tamponi, terapie farmacologiche, eco polmonari, elettrocardiogrammi, ecc., di cui più di 100mila tra Bologna e Imola, grazie a oltre 120 tra medici, infermieri e operatori sociosanitari. L’attività risultò fondamentale, in particolare, nelle CRA, per i pazienti fragili.
Ricordo ancora l’arrivo del vaccino a dicembre 2020, una giornata storica che permetteva finalmente di guardare con fiducia al futuro. Un impegno straordinario, con punte di 50mila vaccinazioni al giorno, copertura al 96% e oltre 12 milioni di somministrazioni in totale.
Nel 2020 si erano dovute rimandare centinaia di migliaia di visite ambulatoriali e 80mila interventi chirurgici. L’ospedale non poteva più essere il baricentro della sanità, l’equilibro andava redistribuito sul territorio. Ecco, quindi, le Case e gli Ospedali di Comunità, le Usca e le farmacie dei servizi, vero e proprio presidio per il territorio e punto di riferimento per il cittadino.