Grazie all’abnegazione dei nostri professionisti sanitari, già a fine 2020 erano state recuperate tutte le prestazioni prenotate che, per effetto della sospensione, non si erano potute erogare.
Ma non era sufficiente.
Ci trovavamo di fronte ad una situazione generalizzata a livello nazionale, con due ulteriori elementi di criticità: da un lato il progressivo definanziamento del Fondo Sanitario Nazionale, passato in pochi anni dal 7,2% al 6,4% del Pil, con la prospettiva di scendere al 6,2% entro i prossimi due anni; dall’altro la carenza del personale sanitario.
Nonostante queste difficoltà, abbiamo approvato un piano straordinario per ridurre le liste d’attesa, stanziando 30 milioni per assicurare entro fine anno almeno un milione e 600mila prestazioni in più, incrementando del 20% il numero di visite ed esami. Per il 2024 sono previste 800.000 visite specialistiche e 800.000 esami diagnostici in più rispetto al 2023.
Il piano sta dando già risultati importanti e parte da un principio: continuare a difendere il modello di sanità pubblica e universalistica. L’alternativa è scivolare verso un modello di sanità privata.
Durante la pandemia si erano dovuti rimandare circa 80 mila interventi chirurgici e almeno 1 milione e duecentomila visite ambulatoriali.
Nessuno in pericolo di vita aveva rischiato di non essere operato o visitato, ma si erano allungate le liste d’attesa.
Il bisogno di salute non si era certo fermato con il Covid, perciò i casi di visite e interventi da assicurare aumentavano di giorno in giorno.
Ma ancora non ci basta, stiamo battendo altre vie per ridurre i tempi d’attesa: da nuovi accordi con il privato accreditato, a nuove assunzioni per coprire le carenze di alcune specialità oggi più scoperte.
E si rafforza il raccordo con le università, per un accordo riguardante circa 8mila medici specializzandi, con la possibilità di essere maggiormente integrati sia a livello ospedaliero che sul territorio, in particolare nei Cau.